Il fenomeno dell’abbandono dei cani – e di tutti gli animali d’affezione – è uno dei più terribili e insopportabili da dover studiare. Nonostante le numerose campagne informative e di sensibilizzazione, purtroppo, i numeri sono ancora molto alti e lasciano trasparire grande superficialità e ignoranza in materia.

Impauriti, incapaci di potersi procacciare cibo da soli o di sopravvivere ad un’improvvisa vita da randagi, sono circa 50mila i cani che, secondo quanto riporta la LAV, vengono abbandonati in Italia ogni anno, con punte massime del 25-30% registrate nel periodo estivo e nell’immediatezza dell’apertura della stagione venatoria, poiché molti cacciatori ritengono “inutili i cani che non sanno cacciare”. Le prospettive che si aprono per questi animali non sono delle migliori: si stima che circa l’80% sia a rischio di stenti, maltrattamenti o, peggio ancora, incidenti fatali (che possono coinvolgere anche l’uomo).

E non è bastato introdurre una legge che punisce il reato di abbandono con l’arresto o multe piuttosto salate a cambiare le cose.

Cosa dice la legge?

La terribile realtà dell'abbandono dei cani: numeri sempre troppo alti

Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.

 

Articolo 727 del codice penale.

In Italia, l’abbandono di animali d’affezione è considerato un reato normato dall’articolo 727 del codice penale. Per “abbandono” si intende l’intenzionale allontanamento di un animale del quale si sia o si sia diventati responsabili. Per chiarire le idee, anche raccogliere un cane dal marciapiede, portarlo a casa e poi riportarlo in strada qualche tempo dopo è considerato illegale.

A parte l’ovvia questione etica, in realtà, ci sono anche delle precise ragioni pratiche per cui questo tipo di azione è considerata punibile:

  • il favorire il fenomeno del randagismo;
  • l’interazione con specie selvatiche autoctone;
  • l’incremento del rischio di incidenti stradali causati da animali vaganti.

C’è da considerare, infatti, che non vengono abbandonati soltanto cani, ma anche gatti e animali esotici che nulla hanno a che vedere con i nostri habitat e che, in qualche occasione, hanno anche creato dei veri e propri danni ambientali (come nel caso delle tartarughe d’acqua dolce che, del tutto carnivore, hanno raso al suolo la fauna di diversi laghetti).

E c’è di più.

Secondo il Ministero della Salute, per quanto detto in precedenza:

chi abbandona un cane non commette esclusivamente un illecito penale (Legge 20 luglio 2004, n. 189), ma si potrebbe rendere responsabile di omicidio colposo.

Viene esortata anche la gestione della fertilità dei propri animali per evitare la nascita di cucciolate indesiderate che, poi, alimenterebbero all’unisono sia il fenomeno dell’abbandono che quello del randagismo; parte di questi poveri piccoli lasciati al loro destino, infatti, muoiono nel breve periodo, mentre gli altri finiscono per dividersi la strada o qualche gabbia in uno dei nostri canili comunali. I fortunati che si guadagnano una seconda chance, purtroppo, sono pochissimi se guardiamo ai numeri su larga scala.

Viene punito persino l’eventuale affido (temporaneo o meno) a persone incapaci dei requisiti minimi per gestire gli animali in maniera efficiente nonché la detenzione in condizioni non adeguate (maltrattamento):

in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore.

Gli abbandoni post-lockdown

In tempi di pandemia, durante il lockdown, si è fatto un gran ironizzare intorno alla questione dei cani padronali che ci permettevano di poter ambire a qualche “minuto d’aria in più” grazie alle passeggiate necessarie per i loro bisogni. C’è persino stato chi ha insinuato che molti abbiano accolto un cagnolino in casa soltanto per questo, liberandosene subito dopo; e che i numeri degli abbandoni post-lockdown siano stati più alti del solito.

In realtà, secondo quanto segnalato dall’Enpa, la vicenda ha avuto dei contorni diversi, seppur ugualmente allarmanti e dolorosi. I motivi degli abbandoni in tempi di pandemia sono stati:

  • il decesso o il ricovero dei proprietari, spesso anziani, in assenza di parenti disposti a prendersi cura degli animali rimasti soli;
  • l’incapacità di gestire animali diventati o rivelatisi aggressivi;
  • la crisi economica incalzante;
  • l’insorgenza di nuove routine familiari.

Di certo, c’è da dire che la gestione di un cane implica impegno in termini di energie, tempo e denaro: c’è molto di più del semplice binomio pappa-passeggiata, perché si tratta di un essere vivente con i suoi bisogni e le sue esigenze; un coinquilino che può sviluppare patologie, insicurezze, malesseri proprio come noi esseri umani e che non può essere considerato alla stregua di un peluche. Anzi, è un altro componente della famiglia!

Cosa possiamo fare?

Quando assistiamo ad abbandoni o maltrattamenti è fondamentale intervenire subito e denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine, ove possibile raccogliendo i dati identificativi reperibili (indirizzo di un’abitazione, il numero di targa di un’auto etc).

Ma possiamo agire anche per prevenire tutto questo: facendo informazione, diffondendo attraverso i social le campagne di sensibilizzazione che vengono proposte ogni anno e, soprattutto, prendendo in considerazione esclusivamente adozioni serie e verificabili nel tempo, con affidi di cani già provvisti di microchip