Nonostante sia una pratica oramai comune ed entrata nel nostro quotidiano, l’inserimento sottocutaneo del microchip ai cani suscita ancora molte perplessità nei neo-padroni e in chi ha poca dimestichezza con la questione. Molti si chiedono se sia realmente obbligatorio o se provochi dolore; cerchiamo, quindi, di fare chiarezza.

Sappiamo bene quanto sia importante tenere al sicuro i nostri amici con il giusto collare o la pettorina più adeguata, in modo da uscire in passeggiata in completa serenità. Il concetto del microchip è lo stesso ma più “in grande”. Ecco perché va compreso nel profondo e, assolutamente, mai demonizzato.

Microchip: cos’è e a cosa serve

Cani e microchip

L’evoluzione tecnologica sta studiando tantissime soluzioni per potenziare l’utilità del microchip per animali domestici che, in ogni caso, già oggi è di grande aiuto non solo per i cani padronali, ma anche per tenere sotto controllo il randagismo.

Parliamo di un minuscolo circuito integrato, della grandezza di un chicco di riso, che viene applicato nel tessuto sottocutaneo dei nostri amici a quattro zampe ed è in grado di essere intercettato da un apposito lettore (messo in sua prossimità) grazie alla tecnologia passiva RFID (più o meno la stessa che si utilizza per scansonare i prodotti in cassa al supermercato attraverso il codice a barre). Non c’è, in sostanza, una fonte di energia interna: ogni chip contiene soltanto un diverso numero di identificazione e i circuiti elettronici necessari per trasferire questa informazione allo scanner.

Ma qual è il suo ruolo?

Il codice contenuto nei microchip è un vero e proprio concentrato di informazioni: le prime tre delle quindici cifre di cui si compone identificano la ditta produttrice, mentre le altre hanno a che fare con lo stabilimento. Grazie a questa univocità, sono tantissimi gli animali smarriti o rapiti che sono stati riconosciuti e riportati a casa: all’atto dell’inserimento, infatti, il cane viene intestato al suo proprietario ed inserito nella banca dati dell’Anagrafe Canina regionale in un documento comprendente nome, età, residenza e caratteristiche del manto. Insomma, una carta di identità a quattro zampe!

Ma sono tanti i contesti in cui si rivela assolutamente indispensabile: ad esempio, può essere determinante poter attestare la proprietà di un animale in un contenzioso, senza contare che canili, rifugi e ASL veterinarie (come anche allevatori, addestratori e tante altre figure dello stesso panorama) riescono a tenere sotto controllo e catalogati i cani di cui si prendono cura, potendoli intestare ad eventuali adottanti attraverso una semplice procedura simile ad un passaggio di proprietà. Anche molti “cani di quartiere” vengono microchippati per poter essere seguiti dai volontari; insomma, tutto diventa logisticamente molto più semplice.

Normativa

Quando si decide di adottare un cane ci si carica di una importante responsabilità: proprio per questo, lo Stato italiano offre 60 giorni di tempo per “mettersi alla prova”, periodo dopo il quale diventa obbligatorio procedere all’intestazione del proprio cucciolo attraverso l’inserimento del microchip. Lo stesso impegno è richiesto ad allevatori e commercianti (che, di regola, non potrebbero vendere animali non chippati) e, sempre entro il settantesimo giorno di vita o quindici giorni dall’entrata in possesso, dovrebbe anche avvenire l’iscrizione all’Anagrafe Canina locale.

Per chi trasgredisce questa normativa sono previste sanzioni molto alte, differenti di regione in regione, che possono arrivare a diverse centinaia di euro (in Campania, ad esempio, si prevede una multa fino a 464 euro per la mancata registrazione all’anagrafe e fino a 309 euro per la mancata installazione del microchip).

Il numero di chip, solitamente, viene apposto anche sul libretto sanitario del cane ed è importantissimo sia consultabile durante alcuni viaggi in Italia e all’estero: molte nazioni, infatti, richiedono non solo il passaporto veterinario e alcune vaccinazioni particolari, ma anche la corrispondenza con il numero di identificazione. Ecco perché sia le guardie zoofile che i veterinari operanti in proprio e presso ASL, carabinieri e servizi di sicurezza in generale sono sempre provvisti di un lettore da utilizzare all’occorrenza.

In passato tutto questo era gestito in maniera alternativa attraverso il tatuaggio che veniva, solitamente, fatto nella parte interna dell’orecchio o sulla pancia: una pratica ben più invasiva e di cui restava traccia a vita e che, perciò, oggi è considerata desueta anche se resta molto sfruttata dalle ASL e dai centri che si occupano di randagismo per avere immediata riconoscibilità dei cani del territorio da sterilizzare.

Costi e altre info utili

Il microchip è richiesto dal CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) anche per alcuni animali rari e ogni tipo di inserimento richiede, ovviamente, delle procedure e dei costi differenti.

La spesa da affrontare per i cani, ad ogni modo, è davvero bassa: di norma, un veterinario non chiede più di 35 euro, mentre all’ASL è possibile completare l’intera pratica – comprensiva di iscrizione all’anagrafe – a costo zero o con un piccolo contributo di circa 10 euro. In molte città, poi, alcuni volontari organizzano delle giornate itineranti dedicate in cui i dispositivi vengono applicati gratuitamente .

Il chip viene solitamente inserito alla base del collo (al centro o a lato sinistro), seguendo la linea dorsale e le scapole, attraverso un ago monouso applicato su una particolare siringa: la sua struttura a microsolchi è fatta apposta per fissarsi e restare ancorata alla pelle grazie ai sottili strati di tessuto connettivo che cominciano ad avvolgerlo una volta impiantato. Molti padroni, però, notano che spesso può avvenire una piccola migrazione, ma mai più importante di qualche centimetro: per verificare la sua posizione basta toccare delicatamente la zona con le dita e cercare il punto in cui si sente il piccolo “bozzo”.

L’applicazione nel microchip avviene, chiaramente, in modalità sterile e si sceglie la zona della “collottola” proprio perché si tratta, al netto di poche eccezioni, di un’area meno sensibile per i nostri amici. Per questo, non risulta troppo dolorosa.